24 aprile 2020

24 aprile 2020.
Il giorno prima dell’inizio della Resistenza è quello in cui capiamo a cosa cercheremo di Resistere. Più scivolano i giorni, tutti uguali in questa attesa asfittica, più ho la sensazione che la battaglia maggiormente complessa non sia contro un virus e il suo contagio, ma contro la negazione dello spazio pubblico e condiviso.

No, non tutto si può fare a casa. Intanto perché non tutti hanno una casa – non i richiedenti asilo, non i senza dimora, non gli ospiti delle comunità. Poi perché non tutte le case sono riconvertibili in uffici, aule di scuola, palestre, sale per giocare, centri di tecnologia digitale: sì, esistono i meno ricchi e anche i poveri. E perché non sempre l’amore risiede tra le stesse quattro mura: e allora penso agli anziani soli, agli innamorati divisi, ai giovani lavoratori single, alle famiglie lontane, alle donne vittime di violenza domestica. Infine: lo spazio pubblico non è un incidente di percorso o un capriccio umano. Per il commiato ai morti servono i cimiteri, per respirare servono i parchi. I bar e i ristoranti ci ricordano che non mangiamo e beviamo soltanto perché ne abbiamo bisogno, ma per stare insieme agli altri. Per il teatro occorre il teatro e credo che anche per la scuola – adesso ci è dolorosamente lampante – occorra la scuola. I cinema non sono una serie Netflix e non è un caso che continuino a coesistere. I libri si comprano nelle librerie e si scovano nelle biblioteche. Le chiese chiuse rischiano di rendere un prodotto domiciliabile anche la religione.

Ho la sensazione, insomma, che la vera partita della democrazia si giochi nello spazio pubblico, non nelle nostre case. È fuori che possiamo provare a non lasciare indietro nessuno. Dentro siamo soli. Le nostre diseguaglianze diventano esasperate.

Ecco, io vorrei Resistere a questo sfacelo, che giustificato dall’emergenza e certificato dalla politica rischia di consolidarsi a abitudine. Essere pronta a uscire, quando sarà consentito. Riprenderci gli spazi condivisi, accorciare le distanze e tornare ad essere tutti un po’ più uguali, un po’ più partecipi.
Basterà, per iniziare a farlo, una panchina su cui sedersi o una corsa lungo il fiume.

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