Le sirene delle ambulanze, il suono che mi resterà più impresso. Non le conto, ma ne parte una ogni pochi minuti. La città svuotata e il silenzio esitante della sera, quando ogni resistenza si è arresa: le case che diventano pugni di luce e cene apparecchiate. Qualcuno che non vedeva l’ora di tenere il mio libro tra le mani volato via all’improvviso, stanotte: nemmeno il tempo di capire, di salutarsi. Guardare chi soffre attraverso un vetro, un vetro vero: mandarsi un bacio con la mano, lasciare torte salate e pasticcini sull’uscio. Madri e figlie separate dalla quarantena, che non possono neanche condividere il lutto. Amici che non sanno come pagarsi l’affitto, perché non lavorano più.
Avevo scritto un romanzo su uomo che vive isolato nel suo appartamento e riflette su quali siano le cose da salvare. Esce giovedì, con un tempismo strano, fatto di librerie deserte e però noi tutti in quella medesima condizione: chiusi nelle nostre case, concentrati, nostro malgrado, su quello che veramente conta nelle nostre vite. Marzo sei sempre stato il mese della rinascita, stavolta risulta difficilissimo amarti. Ma ne usciremo. La salvezza sta nel rispetto delle regole, nella cura verso noi stessi e gli altri, sta nella calma, nella natura, nei libri, nei film. La salvezza non possiede dimensioni epiche, ma minute e quotidiane. Sta in una tasca, come un amuleto di cui, per lungo tempo, travolti da chiasso inutile, ci eravamo dimenticati.