Certe volte penso che la questione sarà dover spiegare a noi stessi e ai nostri bambini che no, non è andato tutto bene. Tolti i cartelloni e i lenzuoli dalle porte, riposti i pennarelli e gli hashtag. Lo dovremo fare per rispetto a quei morti che oggi corrispondono solo a cifre e grafici ma che avranno presto nomi, storie, rimpianti. Lo dovremo fare per rispetto a coloro che oggi vanno avanti a fare il proprio lavoro, pur avendo avuto tagliati mezzi e fondi, e che la narrativa accorre a chiamare eroi perché è più confortante immaginare di combattere mostri informi, che precise e scellerate politiche economiche. Sarà complesso e intellettualmente logorante, ma noi e questi bambini dovremo capire che non esiste un’infausta mano invisibile: che tutto sarebbe potuto andare meglio, se l’Italia non avesse trattato la sanità pubblica come un animale da macello. E che è stato bello cantare dai balconi e chiuderci nelle nostre case per salvarci l’un l’altro, ma che la coesione di un popolo e la sua responsabilità civile non possono affiorare dalla superficie solo a diritti costituzionali disattivati e con la morte sull’uscio: è troppo comodo, è pericoloso.
Trovo irresponsabile chi non limita i suoi contatti sociali e la campagna #iorestoacasa è legittima, necessaria, ma rabbrividisco davanti alla caccia – tutta da tastiera – al camminatore per strada che abbiamo scorto dalle nostre finestre, e non c’interessa se è anziano, solo, depresso, se ha cinque anni, se è sceso una manciata di minuti per vedere i ranuncoli fiorire, per aspettare l’arrivo di una bara da cremare, per andare a fare l’ennesima spesa perché più di una borsa non riesce a portarla: non c’interessa, è semplicemente uno stronzo.
Nella mia città, Lodi, davanti al piccolo supermercato del centro storico che frequento abitualmente, è rimasto un piccolo assembramento: i soliti senzatetto, l’alcolista, l’eroinomane, la questua non rientrerà nel decreto economico e loro non ce l’hanno, una casa dove restare. Le cose sono difficili per tutti, ma non riesco a non pensare che per alcuni lo sono di più, e che non sappiamo sempre tutto, e che non abbiamo idea di tutto, e che a volte potremmo anche lasciare cadere la tenda sulla finestra e tornare alle nostre attività casalinghe e magari provare a ricordare dov’eravamo, quando si trattava d’informarsi, decifrare lo scenario e di tanto in tanto scendere in piazza, indignarsi, esercitare la responsabilità individuale e collettiva senza che fosse la polizia a intimarcelo dagli altoparlanti delle volanti sera sì e sera sì, nel silenzio sospeso, come un monito funebre.