Accendere un cerino nell’oscurità: di russi dimenticati, orsi martellatori e di come parliamo di libri

[Questo articolo è uscito su Limina Rivista il 23 maggio 2023.]

Mi piace molto leggere nei bar, non mi disturba il chiasso, non mi distraggono le chiacchiere dei vicini di tavolo o di chi indugia al bancone aspettando il caffè. Non mi sono mai interrogata sul perché fino a qualche giorno fa, quando mentre giravo l’ultima pagina di Lo sterro di Andrej Platonov (minimum fax, 2022) ho sollevato gli occhi e davanti a me non ho visto i kulaki con le pance che scoppiavano di carne ingurgitata a forza e nemmeno l’orso martellatore che instancabile lavora per il socialismo: ho visto invece il mio amico Claudio che raccoglieva piatti e tazzine sul vassoio e una donna con una bambina che si alzava per pagare, frugando nella borsetta alla ricerca del portafogli. Ho trattenuto il respiro per un istante, come a ricucire uno strappo, come a contemplare il portale che divideva quei due universi da me abitati contemporaneamente e quindi esistenti e tangibili solo attraverso quella che Gianni Celati sosteneva essere l’unica cosa che abbiamo al mondo: la disponibilità all’esperienza. 

Platonov
Continua a leggere “Accendere un cerino nell’oscurità: di russi dimenticati, orsi martellatori e di come parliamo di libri”

L’approssimativo

Cose che ha scritto Italo Calvino e che mi fanno dire ecco, così, esattamente così:

“Il diavolo oggi è l’approssimativo. Per diavolo intendo la negatività senza riscatto, da cui non può venire nessun bene. Nei discorsi approssimativi, nelle genericità, nell’imprecisione di pensiero e di linguaggio, specie se accompagnati da sicumera e petulanza, possiamo riconoscere il diavolo come nemico della chiarezza, sia interiore sia nei rapporti con gli altri, il diavolo come personificazione della mistificazione e dell’automistificazione. Dico l’approssimativo, non il complicato; quando le cose non sono semplici, non sono chiare, pretendere la chiarezza, la semplificazione a tutti i costi, è faciloneria, e proprio questa pretesa obbliga i discorsi a diventare generici, cioè menzogneri. Invece lo sforzo di cercare di pensare e d’esprimersi con la massima precisione possibile proprio di fronte alle cose più complesse è l’unico atteggiamento onesto e utile.”

(da Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società)

Aveva mai sentito Caio l’odore del pallone di cuoio?

Una delle cose più belle e incredibili l’ha scritta Lev Tolstoj e periodicamente torno a rileggerla, perché dentro c’è tutto, ecco, tutto ed esattamente come andrebbe detto. Viene da “La morte di Ivan Il’ic”, la mia è l’edizione Feltrinelli del 2014 curata da Paolo Nori.

“Ivan Il’ič vedeva che stava morendo, ed era in uno stato di permanente disperazione.

In fondo all’anima Ivan Il’ič sapeva che stava morendo, ma non solo non era abituato a una cosa del genere, proprio non la capiva, non riusciva in nessun modo a capirla.

Continua a leggere “Aveva mai sentito Caio l’odore del pallone di cuoio?”

Respirando l’odore del male. Il continente bianco di Andrea Tarabbia

 [Questo articolo è uscito su Limina Rivista il 7 marzo 2023.]

Possono, le storie, esaurirsi in un libro solo? Forse no, forse non sempre, forse – mi permetto uno sbilanciamento più radicale – nemmeno dovrebbero. Con questa premessa inizia Il continente bianco di Andrea Tarabbia, uscito nell’agosto 2022 per Bollati Boringhieri, prendendo le mosse proprio da una storia già raccontata, quella de L’odore del sangue di Goffredo Parise, scritto di getto in un’estate del 1979 e pubblicato postumo da Rizzoli nel 1997.
Nell’opera di Parise siamo a Roma, alla fine degli anni Settanta: uno psicanalista cinquantenne, Filippo, scopre che la moglie Silvia ha perso la testa per un ragazzo, un giovane fascista; tra i due coniugi il sentimento si trascina stanco e i due si sono già traditi diverse volte, entrambi alla ricerca di quel che non riescono più a darsi reciprocamente e sempre raccontandosi tutto, ma questa volta è diverso, questa volta l’amante di Silvia emana un fascino cupo, mortale, impostando con la donna una relazione dominante, e Filippo proietta le proprie fantasie erotiche proprio sul rapporto tra Silvia e il ragazzo, si fa confidare i dettagli più torbidi, fino a costruire con lei una nuova intimità morbosa e, in conclusione, distruttiva.

Continua a leggere “Respirando l’odore del male. Il continente bianco di Andrea Tarabbia”

La vita che arde di Stig Dagerman

 [Questo articolo è uscito su Limina Rivista il 19 dicembre 2022.]

C’è una poesia di Eugenio Montale che mi sorprendo spesso a sussurrare a mezza voce nel silenzio, come un ricordo o una promessa: si tratta di Piccolo Testamento, in apertura all’ultima sezione di Satura, e in particolare sono i versi iniziali e finali, quando Montale scrive che la poesia è una traccia, madreperlacea di lumaca o smeriglio di vetro calpestato, lontana da ogni ideologia, resistente e tenace pur nella sua apparente gracilità (una fede che fu combattuta, una speranza che bruciò più lenta, un duro ceppo nel focolare), e quando dice che nell’incertezza di questa vita e di questo mondo, nel pieno urto dei monsoni, in fondo accade un fatto potentissimo: ognuno riconosce i suoi e la mutevolezza delle apparenze e degli esiti, perché l’orgoglio non era fuga, l’umiltà non era vile, il tenue bagliore strofinato laggiù non era quello di un fiammifero. Ognuno, quindi, riconosce i suoi: mi è successo molte volte, nel corso degli anni, tra le pagine di romanzi, saggi e raccolte poetiche, a me come a tutti, voci che di prepotenza e bellezza affiorano dal mare ondoso della letteratura e si aggrappano alla barca che ci stiamo costruendo, salgono a bordo, ci aiuteranno a remare, a individuare una direzione, a dare un nome alle cose o semplicemente taceranno in nostra compagnia davanti al medesimo confuso orizzonte. Ognuno riconosce i suoi: mi è successo, per esempio, con Stig Dagerman.

Continua a leggere “La vita che arde di Stig Dagerman”