Salviamo la Lombardia, 20 giugno 2020

Più di una volta non sono riuscita a controllarmi e ho iniziato a piangere. Nascosta dalla mascherina e dagli occhiali da sole. Quando ci siamo seduti in silenzio assoluto per un minuto, pensando agli oltre sedicimila morti lombardi. Quando Nicole ha raccontato il suo impiego in una Rsa, da dicembre: contratti a tempo determinato rinnovati ogni quindici giorni, il Covid che la fa ammalare a marzo, le cure lunghissime, l’oblio dei suoi ex datori di lavoro. Quando Anna ricorda di aver visto partire suo marito Claudio, stremato dal virus, su un’ambulanza, in pigiama, e di essersi domandata se quello sarebbe stato il suo ultimo ricordo di lui: Claudio è guarito, la sua famiglia si è imposta tre auto-quarantene e l’Ats non li ha mai cercati. Quando Vittorio Agnoletto e don Virginio Colmagna hanno ripercorso la politica sanitaria di questa regione: contenimento e abbandono. Quando Silvia, medico di famiglia, ha ricordato i suoi colleghi, lasciati privi di dispositivi in primissima linea a curare, ammalarsi e morire. Quando Stefania ha chiesto di chiudere gli occhi e provare ad immaginarsi di perdere i propri genitori senza spiegazioni, senza poter essere loro di conforto, vite stroncate all’apice della fragilità e che potevano essere protette. Storie di famiglie che si spezzano, di lavoratori che cadono mentre assolvono il loro compito perché nella tanto sbandierata “eccellenza” manca tutto, storie di fame, di bambini rinchiusi, di test sierologici che i lombardi si devono comprare.

È stato tutto colorato e dolorosissimo. Restiamo tuttora la regione con più casi e più morti eppure ogni cosa va avanti come prima, i test non vengono fatti, gli ambulatori non vengono riaperti, i dati non vengono tracciati.

Siamo oltre l’oltre. Salviamo la Lombardia.

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