Varie e “Di cosa parliamo quando parliamo di cultura”

Mesi di latitanza e un lento ritorno agli incontri in streaming, nel mezzo molti bei libri letti e scrittura: come tutti, andiamo avanti nella speranza che tutto questo finisca presto.

Nel frattempo, per Q Code Mag, ho lavorato a un articolo sul significato (e lo stato) della cultura e del lavoro culturale in Italia dopo l’emergenza sanitaria, cercando di rimettere insieme i tasselli di questo disastro e partendo dalla meravigliosa dignità con cui il Cinema Fanfulla, nella piccola città dove vivo, riapriva per la prima volta le sue porte il 16 giugno 2020, facendo accomodare in sala centodiciassette persone e segnando un risultato record nella classifica nazionale per numero di spettatori. Mi sembrava il caso di metterci la pancia, e i numeri. I numeri perché servono contro la dialettica di chi vuole minimizzare e improvvisare, perché nelle proteste davanti ai teatri e in quelle dei #bauliinpiazza la disperazione è dato e non solo sentimento, perché non puoi stupirti del malessere cognitivo e progettuale di un popolo se chiudi le scuole, le biblioteche, i centri culturali e insisti nel rimarcare, attraverso precise scelte politiche, la loro non essenzialità.

A otto mesi dall’inizio della pandemia, mi sembra evidente che la tenuta socio-economica attuale in Italia non è più sostenibile e che presto dovremo discuterne. Senza i luoghi e il lavoro culturale, peró, non avremo strumenti per farlo. Senza i luoghi e il lavoro culturale, l’azzeramento della capacità immaginativa e progettuale di questo Paese sarà inevitabile. C’è tantissimo su cui lavorare, a breve e lungo termine, e qui ho provato a ragionare su proposte e obiettivi concreti. Cultura è comunità, redenzione sociale, economia di scopo e, soprattutto, anche se il virus ha provato a dirci il contrario, si fa insieme.

Se avete voglia di approfondire, qui trovate l’articolo intero.